[Riassunto: Cornelio lascia Clo, Momo e il bambino nero alle cure di uno sconosciuto, un ranger in avanti con gli anni dal carattere complicato.]
“La vita di questa gente”, riflette Momo, mentre cerca di distrarsi dalle secche botte che riceve all’altezza del coccige dalla schiena del cavallo che procede al piccolo trotto, “è piena di viaggi”. Ci pensa perché, invece, dal suo punto di vista, della sua breve vita di ragazzo di campagna, di viaggi non se ne fanno e non se ne dovrebbero fare così tanti. O almeno: risulta difficile capire o immaginare come si fa a condurre una vita che in realtà, poi, a conti fatti, consiste principalmente nel recarsi da un posto all’altro.
La casa di Jack è una cosa piccola e modesta. Assomiglia più a una baracca rialzata. Ai lati della casa c’è un’altra struttura, non rialzata, con un grande portone di ingresso; e un ampio recinto, vuoto. Jack fa scendere Clo con il bimbo, tirandola giù delicatamente. Dopo di che slega la sacca dei vivere di Cornelio, e la apre. Ci butta un’occhiata dentro e poi inizia a frugare frettolosamente. Ne tira fuori una bottiglia col beccuccio, come quella che i ragazzi avevano imparato a usare al villaggio del popolo della foresta «Tieni. Daglielo». Clo resta un po’ interdetta dai modi del ranger; ma con un’espressione di perplessità prende in mano la bottiglietta e si mette a sedere sugli scalini di ingresso della casa di Jack. Apre il beccuccio, e poi appoggia la bottiglia sul gradino. Con delicatezza, si sfila di dosso il fagotto con il bimbo dentro. È da molto tempo che se lo porta dietro. Sente i muscoli della schiena finalmente distendersi e rilassarsi, ma nel lasciarsi andare le provocano una piccola fitta che non conosceva prima. Per alleviare il disagio, si piega leggermente in avanti, girandosi prima a destra e poi a sinistra. Il disagio si attenua, ma si sente molto indolenzita. Solleva il bambino con il braccio sinistro, tenendo il palmo della mano dietro la nuca. Si ferma un secondo. Flette il braccio sinistro in avanti e indietro, avvicinando e allontanando il bambino a se. C’è qualcosa che non le torna. Il suo corpo percepisce che questo movimento dovrebbe “sentirsi” in un altro modo. Cosa è cambiato? Guarda il bambino, e il bambino le restituisce lo sguardo, con i suoi occhi dorati e luminosi. Sta fissando lei o delle immagini senza nomi e cognizione? Lei gli sorride, affettuosamente. E lui, goffamente, muove le labbra in maniera scomposta, prima in avanti, poi all’indietro, poi cerca di allargare la bocca. Ecco, ti restituisco il sorriso. È più una smorfia però, e dura pochissimo, qualche istante. Poi, la bocca del bimbo riprende questo suo gioco di contorsione. In avanti, all’indietro, di lato; poi gli angoli in giù, poi in su, poi si sfiora le labbra con le dita, poi con quelle stesse si tocca i bordi della testa; e muove le gambe, senza un vero obiettivo, in avanti e indietro. Clo sorride ancora: che carino che è. Una piccola polpetta d’uva. Poi prende il biberon, e delicatamente glielo appoggia sulle labbra. Lui l’accoglie con gusto, e tende le braccia verso il bordo della bottiglia.
Jack molla la sacca vicino a Clo ed entra in casa, sparendoci dentro. Momo resta aggrappato al bordo della sella, sulla schiena del cavallo. Guarda Clo preoccupato, ma lei non gli dà attenzione. Ma quindi, lui cosa deve fare? Per un attimo gira la testa attorno per attestare la situazione, che è sempre la stessa: la casa di Jack, il prato, il capanno, il recinto. Chiude gli occhi, ed emette un profondo respiro. Nessuno lo tirerà giù da lì. Sporge la testa verso un lato della bestia. Valuta le distanze che lo separano dalle staffe. Si fa forza con le braccia e si tira su, cercando di farlo con una certa delicatezza, per non infastidire il cavallo. Questo fa un piccolo movimento con le anche e sbatte uno zoccolo per terra. Momo resta immobile fino a quando la situazione non gli sembra di nuovo placata. Poi ci riprova, si tira su con le braccia e tenendo le gambe ben strette sulla pancia del cavallo, compie un movimento in avanti delle anche, e scavalca il bordo della sella. Quando appoggia il sedere sulla sella, attende un secondo, per verificare che alla cavalcatura la sua iniziativa non crei disagi. Sembrerebbe di no. Al che, con un atto di enorme fiducia, si china in avanti con tutta la schiena, solleva la gamba destra quanto più gli è possibile, e si lascia scivolare sul lato sinistro, con la gamba sinistra tesa e il piede sinistro puntato verso il basso. Mentre con grande attenzione e lentezza si lascia scivolare sul fianco, cerca con la punta del piede, indirizzandola con la caviglia di qua e di là, la cinghia e poi la pedana della staffa. Quando finalmente la percepisce, ci infila subito il piede dentro; e con la gamba sinistra mantiene come può il peso di tutto il corpo, che ormai è sbilanciato tutto da quel lato. Così, appena la gamba destra ha ormai superato tutto il corpo del cavallo, si lascia andare di peso. Il piede destro atterra seccamente a terra, coprendo una distanza che a Momo è sembrata quella di una caduta (ma ormai era troppo tardi per fermarsi); e il corpo di conseguenza reagisce con tutta una vibrazione, per accogliere il peso dell’impatto. Il cavallo percepisce il movimento secco, e questa cosa non gli piace. Solleva le zampe anteriori da terra ed esprime il suo disappunto sbattendo gli zoccoli a terra altrettamento seccamente. Momo aveva ancora il piede sinistro agganciato alla staffa, quindi il gesto di protesta del destriero fa per sbilanciarlo, ma in qualche modo, zompettando con la gamba libera per mantenere l’equilibrio, riesce a evitare di cadere con il piede ancora attaccato. Sfila con delicatezza il piede dalla staffa e, tenendo apprensivamente d’occhio il cavallo, fa qualche passo all’indietro. Il cavallo sembra tranquillo, e anche Momo può rilassarsi. Per poco. Non ha fatto in tempo a riprendere fiato che il ranger Jack sbuca dalla porta di casa con due zaini pieni, che gli butta sulle spalle senza neanche fermarsi. «Forza, giovanotto, c’è del lavoro da fare». E gli fa cenno di seguirlo. Momo prende un grosso respiro, chiude gli occhi, guarda il cielo, poi si gira e guarda Clo, che gli restituisce lo sguardo, compassionevole; e poi torna a rivolgere le attenzioni al bambino. Momo scuote il capo, sconsolato. E con i massicci zaini, uno per spalla, si incammina dietro il ranger, che nel frattempo sta spalancando le porte della casupola.
All’interno della struttura c’è una stalla, all’interno della quale stanno, senza avere aria di passarsela male, due robusti equini, più grossi di quello da cui Momo è appena sceso. A una delle pareti sono appesi due robusti ganci, a cui a loro volta sono appese due selle massiccie. «Poggia la roba all’ingresso e dammi una mano qua». Momo obbedisce. «Allunga le braccia» fa il ranger, e dopo che il ragazzo ha eseguito gli ci scarica sopra, senza troppi complimenti, una delle due selle. Adesso Momo sente nostalgia degli zaini. Forse sente anche nostalgia dei viaggi a cavallo. Per quello verrà presto accontentato. Jack si carica la seconda sella sulla spalla del braccio sinistro, anche se in realtà quella copre gran parte del suo braccio. Mentre con la mano destra afferra il bordo alto dell’ingresso alla stalla e apre la porta. Dopo di che appoggia la sella sopra la porta della stalla. «Dammi l’altra» Momo si avvicina rapidamente perché Jack sta allungando il braccio senza neanche guardarlo, dando per scontato che Momo sia lì a porgergliela. Quando la mano del ranger tasta il bordo della sella, si volta per controllare meglio e, sempre senza guardare Momo, gli dice «Sveglia eh, ragazzino, non abbiamo tempo da perdere». Dopo di che prende anche l’altra sella e la poggia sul bordo della porta. All’interno della porta della sella, agganchiati a dei chiodi, ci sono un paio di briglie. Jack imbriglia prima un cavallo e poi l’altro. Dopo di che, con molta attenzione, ne accompagna uno fuori dalla stalla, lo ferma, prende una sella, e gliela poggia sulla schiena. «Spostamelo un po’ in là adesso», e porge la briglia a Momo. Momo prende la briglia, lo guarda. Jack ricambia lo sguardo, impaziente. Poi Momo fa due passi avanti, briglie alla mano, ma il cavallo non si muove. Jack guarda la scena e scuote il capo: «Non si fa così. Tira le briglie, una volta sola, senza forza, però deciso. Devi fargli capire che deve muoversi». Momo esegue, con scetticismo. Il cavallo fa due o tre passi, poi si ferma. «Portalo un po’ più avanti». Momo ripete l’azione, sempre con scarsissimo entusiasmo. Il cavallo, con altrettanto entusiasmo, fa due o tre passi avanti. «Va bene così», conclude il ranger, che con un grosso enfatico sospiro prende il secondo cavallo, se lo porta fuori, gli poggia la sella sopra la schiena, e poi se lo tira dietro, aggirando il cavallo di Momo. «Ti conviene imparare in fretta. Adesso, perché ti segua, devi sempre tirare, fin quando lui non capisce che deve andare avanti. E ringrazia che sono intelligenti». Momo tira, il cavallo segue. «Fermati all’ingresso, raccogliamo gli zaini» «Ma io non so come si ferma!» Jack gli risponde, infastidito «Devi tirare al contrario». Momo rotea gli occhi: ma chi è questo soggetto?
Clo, ancora sul gradino, solleva gli occhi. Momo si sta portando dietro un cavallo quattro volte più grosse di lui, tenendolo per le briglie, ha un grosso zaino sulla schiena e la faccia di uno che pensa di aver ricevuto una grossa fregatura. Le scappa da ridere, ma si trattiene. Una volta giunti, il ranger consegna la seconda briglia nelle mani di Momo, il quale si ritrova con due cavalli da gestire e lo zaino sulla schiena. Jack traffica sull’altro animale, dopo di che, si gira, e il cavallo si gira con lui. Si riprende le briglie da Momo e gli consegna quella del cavallo più piccolo. «La sella gliel’ho già slacciata. Portalo su, levagliela, mettila dove hai visto che stavano le altre, sbriglialo, e lascia pure le porte aperte». Momo, masticando bile, fa per ripartire. «E lascia qui lo zaino!» gli fa il ranger. Lui, con una mano sempre saldamente su una briglia, si sfila lo zaino e lo lascia cadere malamente a terra. Jack ha un sussulto, ma si trattiene. Momo ripercorre la strada verso la casupola, chiedendosi come farà a caricare quella sella così pesante su quel perno così alto. Clo osserva la scena sia divertita che preoccupata, ma non fa in tempo a dedicarci un pensiero che viene investita da un odore tremendo, che proviene dal bambino. Lì per lì è sorpresa, disorientata, ma capisce molto rapidamente. Jack la guarda, ridacchia. Lega i cavalli, e si avvicina a Clo «La nostra prima cacca!» esclama ridendo. «Vado a prendere un secchio d’acqua… e qualche borraccia in più.» Poi, allontanandosi: «Controlla nella sacca del Custode! Ho visto che c’è della roba, dentro, che può tornare utile». La sacca, fortunatamente, è appoggiata alle scale di ingresso. Con movimenti molto misurati, senza fare scatti o affrettarsi, Clo si avvicina, allunga un braccio e butta un occhio al suo contenuto. Vede dei teli grezzi… e forse sono ci sono degli abiti di ricambio… Speriamo che ci siano degli abiti di ricambio.