Ciao,
come stai? Inizio questa mail che è il 20 di marzo, ma ti verrà recapitata soltanto il 31. È da tanto tempo che non ho l’ispirazione di scrivere la newsletter con anticipo. Questa mia ansia espressiva è conseguenza delle grandi trasformazioni che stanno accadendo nella mia vita; e penso di non essere il solo. Mi sono confrontato con molte persone nell’ultimo paio di mesi, e sembrerebbe proprio che per molti il periodo coincida con temi importanti da affrontare. Per la prima volta dopo tanto tempo ho bisogno di fare ordine, e di dire le cose che sento urgenza di dire man mano che emergono. Sento che il tempo sta stringendo, e che da qui a poco la primavera porterà con sé la necessità di essere pronti e aperti alle giornate che mi aspettano.
Questa mail, in particolare, riguarda i miei sentimenti riguardo a una persona che ho avuto modo di incontrare quasi un anno fa. Riguardo al tema degli incontri ho sviluppato una certa sensibilità negli anni. Ho capito la differenza che c’è tra conoscere una persona e incontrarla. Nel caso di questa persona, l’ho conosciuta per anni, ma ho solo avuto occasione di incontrarla la scorsa estate. È stato un incontro decisivo per il mio percorso di crescita; e i sentimenti che ho menzionato riguardano un profondo senso di gratitudine nei suoi confronti. Adesso però è arrivato il momento di lasciarla andare. Sono pronto, ma sono anche molto dispiaciuto. So che quella persona mi mancherà, mi manca già moltissimo, ma è la cosa giusta da fare.
Attraverso il dialogo con lei, ho avuto modo di aprire gli occhi su aspetti della mia vita completamente inediti. Molte delle riflessioni che mi hanno accompagnato hanno riguardato la mia capacità di accogliere i suoi pensieri e le sue opinioni, perché inizialmente mi sembravano forti, mi sembravano persino estremi. Mi sembrava che lei vedesse una persona che non c’era, una persona completamente inventata, improbabile. È stato meraviglioso, nel senso che mi ha spesso portato a provare meraviglia, riscontrare come molte delle sue parole, delle sue raccomandazioni e dei suoi consigli si siano poi man mano concretizzati nella realtà. Sono andati specchiandosi durante altre conversazioni con altre persone, e verificandosi negli eventi che si sono svolti sotto i miei occhi. È stata la prima persona a definire mio figlio un “guerriero”; e poi, dopo di lei, altre persone, altrove, hanno usato lo stesso termine. Tutte le volte che si è verificata una cosa del genere, è sembrato assistere a una magia. Non so se sia figlia delle sue esperienze di gioventù o sia dotata di una potente intuizione; non so se sia per la sua attitudine all’ascolto e all’osservazione, ma la sua capacità di connotare così esattamente una situazione, con il passare del tempo, è diventata per me fonte di profonda stima. Lei lo sa di essere in possesso di una dote molto preziosa, e io sono stato molto fortunato a poter ricevere da lei ascolto e affetto.
Mi manca molto parlare con lei. Durante quest’ultimo paio di mesi, era importante che io imparassi a camminare nuovamente sulle mie gambe; ma la possibilità di ricevere da lei supporto e consiglio è stata una risorsa così preziosa che adesso fare senza, per quanto corretto, necessario, assolutamente normale nelle logiche della vita, è comunque un grosso dispiacere. Mi mancherà il suo umorismo, la sua passione, la sua capacità di accendersi per le questioni che le stanno a cuore, la sua capacità di dirmi dritto per dritto le cose come stanno. A volte, quando incontri una persona così, la vorresti al tuo fianco per tutta la vita. Avere un valido consigliere, o una valida consigliera, come in questo caso, è un privilegio e una benedizione. Separarsene, a sua volta, segna un percorso di crescita fondamentale. Per questo scrivo queste righe, per fissare il ricordo, per poter dire che comunque sono stato un uomo parecchio fortunato, come mi capita di dire sempre più spesso. Per dire che sento già la sua mancanza, e che spero che questo sia solo un arrivederci; ma al momento non posso pensare che ci sarà modo di rivedersi. Ci sarà senz’altro, ma non è più importante.
Io spero solo di essere stato in grado di restuirle quello che da lei ho ricevuto. Ha accolto una persona confusa, ferita e smarrita, e ha dato valore alla sua confusione, alle sue ferite, al suo smarrimento. Mi ha invitato a restare nelle emozioni, mi ha invitato a mostrarmi per le mie fragilità, piuttosto che per i miei punti di forza. Mi ha aiutato a strappare un velo importante su un aspetto della vita che avevo vissuto senza mai rendermi conto di quanto fosse prezioso e importante. Di quanto mi abbia permesso negli anni di diventare grande e forte. Così io non ho solo ricevuto la benedizione di essere stato padre di un grande guerriero; ma il fatto che mio figlio sia stato un guerriero è merito anche delle mie qualità umane. Lui poteva essere, come spesso è nel destino dei figli, una versione ancora più determinata e resiliente di me. A volte, per consolarmi, mi viene da pensare che forse una persona così forte e tenace non poteva essere messa al mondo. A volte penso di aver soltanto fatto esperienza di una potenzialità che dev’essere per forza unita a qualcos’altro. Non si può solo combattere. Mi addolora che mio figlio abbia dovuto vivere e morire da guerriero. Ma lo ha fatto con una grazia e una spontaneità che non può che commuovermi. Ci sono immagini e ricordi che mi stringeranno sempre il cuore. Sono lì apposta, mi insegnano che devo essere anche come lui. Forte, spontaneo, impassibile.
Lasciare andare è una cosa che devo imparare praticamente da zero. I tempi sono maturi perché io sviluppi anche questa facoltà. Fosse una separazione, un abbandono, un tradimento, una delusione, un fallimento, ho vissuto sempre in reazione agli eventi. Ho sempre dovuto pormi in contrapposizione a qualcosa per dimostrare a me stesso che sono in grado di poter andare oltre. Mentre lo facevo, non mi rendevo conto che in fondo era solo un pretesto. Il punto è che io andrò sempre oltre: oltre la routine, oltre al pensiero comune, oltre alla rassegnazione; è una questione caratteriale, e anche questo me l’ha insegnato lei. Io pensavo solo di essere una persona continuamente messa alla prova dalla vita. Adesso so che, anche quando non ci sono prove in vista, sono io che me le vado a cercare. C’è sempre qualcosa che si può imparare a fare, che sia qualcosa di completamente nuovo; o qualcosa di già conosciuto che bisogna imparare a fare meglio.
C’è una lezione preziosissima, che ho imparato dalla mia esperienza su Radio Antidoto, che riguarda il sovvertimento delle strutture. Anche questa cosa, man mano che procedo, mi sembra qualcosa che covavo già dentro, ma che avevo bisogno che qualcuno mi mostrasse nel concreto, per crederci veramente. Ne ho già parlato in altre occasioni: quando le puntate di Rigonia cominciavano ad assomigliarsi tutte, quando potevo affidarmi a una struttura solida e collaudata, quando mi accorgevo che la mia creatura assumeva delle caratteristiche ben definite, quello era il momento di smontare tutto e di ricominciare da capo. Chissà se poi è per questo che ho traslocato così tanto e così spesso: ogni volta che da bambino sembravo “diventare qualcosa”, la mia vita è stata sovvertita, resettata. Questo per dire che quel momento di distruzione può essere applicato a ogni contesto, ed è veramente una lezione di libertà e di crescita. Spogliarsi delle proprie identità mette paura. Siamo tutti alla ricerca di certezze, di garanzie e di consolazioni. Per questo molti di noi, per gran parte del tempo della loro vita, sono così addolorati. Perché il meccanismo dell’esistenza prevede la fine dell’esistenza. Non ci si limita a nascere e morire biologicamente.
Questa cosa succede anche, in forme più o meno tangibili, nel corso dell’esistenza stessa. Si smette di essere figli, si diventa genitori; si smette di essere amanti, si diventa coniugi; si smette di essere semplici dipendenti, si diventa responsabili; si smette di essere giocatori, si diventa allenatori. A ogni passaggio, una parte di sé muore. Un tempo c’erano i riti a sancire questi passaggi. E adesso mentre scrivo mi viene in mente che esistono personaggi pubblici per cui questi rituali vengono ancora celebrati, anche se in forma piuttosto “laica”. Mi sono venute in mente due leggende del calcio, Javier Zanetti e Francesco Totti. Al momento in cui hanno smesso di essere giocatori, sono stati celebrati in pompa magna. Però hanno reagito a questa trasformazione in modi diversi: Zanetti è diventato qualcosa, un dirigente per la società per cui ha militato per gran parte della vita; e Totti ancora non si sa, o almeno io non l’ho capito. Non soltanto ha la fortuna di aver potuto vivere un grandioso rito di passaggio, ma ha anche avuto diverse porte aperte da varcare per entrare nella nuova fase della sua vita. A oggi, non mi è chiaro cos’abbia scelto per se stesso.
Questo per dire: bisogna diventare consapevoli delle cose che muoiono. Bisogna abbracciarle, celebrarle, saperle dare conferire loro senso e dignità. Io ho assistito a situazioni nella mia vita che sono andate morendo e non hanno ricevuto degna chiusura, anzi: è sembrato quasi che la loro esistenza dovesse essere in qualche modo squalificata. Quelle situazioni, quelle dinamiche, quelle identità, diventano fantasmi. Finiscono per venirti a cercare ovunque tu vada, finiscono per mistificare i tuoi sforzi, fraintendere le intenzioni, mettere in discussione le tue buone intenzioni. E si aggiunge il lavoro di dover anche, in qualche modo, capire i fantasmi, integrarli, dissiparli. E si finisce per passare una vita nella convinzione che ogni azione sia in risposta a una qualche forma di ingiustizia subita. E magari le ingiustizie erano reali, si sono verificate per davvero. Però ho visto come esistono individui che sono in grado di scacciarle con una scrollata di spalle. Mi sento fortunato a non essere uno di quelli. Far finta che i fantasmi non esistano è il modo migliore per trasformarti in un fantasma tu stesso. Presto o tardi tutto il dolore e la delusione si trasformano nella linfa che ti scorre dentro. Io sono troppo candido per una cosa del genere. Io ho sempre bisogno di capire, di superare me stesso. Di andare oltre. Andare oltre è bellissimo; e ti permette, alla fine di ogni sforzo, di ricevere molto più di quello che hai dato. Si tratta solo di avere pazienza.
Da ormai mesi ho in testa di fare una puntata di Rigonia che parli di maestri. Mi sono confrontato sul tema con tante persone. Se al 31 marzo non l’ho ancora messa in onda (e comunque penso che una non basterà), sicuramente cercherò di ritagliarmi quel paio di ore che mi servono ad aprire per andare a microfono e raccontare tutto quello che ho raccolto sull’argomento. Lo scrivo in chiusura di questa mail, perché è esattamente la meta che si raggiunge seguendo il percorso disegnato dal mio ragionamento. E, in una logica di circolarità narrativa, concludo dicendo che la persona a cui dedico questa mail, e che lascio andare, ringraziandola per tutto quello che ha fatto per me, sapendo che forse non ci vedremo più per tanto tempo, ma che la porterò sempre nel mio cuore, è entrata con pieni meriti nel novero dei miei maestri. E, anzi, è la prima maestra, la prima donna a farne parte. Ho atteso per tanto tempo di incontrarne una: ne è valsa la pena. Mi ha fornito quei preziosi strumenti per affrontare la realtà di cui ho avuto bisogno e che sono andato cercando per gran parte della mia vita. La abbraccio forte, anche se virtualmente, augurandole tutto il meglio.
E abbraccio anche te, e ti auguro una buona settimana.
Con affetto,
Francesco